
Amiche emozioni: la tristezza
Rabbia, tristezza, paura… Sono emozioni che preferiremmo non provare. Le consideriamo un segno di debolezza, oppure di scarso controllo su noi stessi. Non ne parliamo perché ce ne vergogniamo.
Tuttavia, se ripensiamo alle occasioni in cui ci siamo arrabbiati, abbiamo avuto paura o siamo stati tristi, potremmo scorgere al di là del malessere l’utilità che queste emozioni hanno avuto per noi. Ad esempio, se non avessi avuto paura non avresti passato quell’esame difficilissimo; oppure, se non ti fossi arrabbiato, gli altri non avrebbero considerato le tue ragioni.
Tutte le emozioni sono preziose, perché ci informano sui nostri bisogni e sui nostri obiettivi nelle relazioni con gli altri e nel mondo e ci stimolano ad agire per realizzarli.
È come dire che non esistono emozioni positive e negative, né emozioni giuste ed emozioni sbagliate. Tutt’al più ci sono emozioni che ci piacciono ed altre che non ci piacciono.

Se hai visto Inside Out, il film di animazione sul mondo emotivo della giovane Riley, probabilmente ti sarai affezionato al personaggio di Tristezza. Tristezza è una donna buffa e impacciata, che vive nella mente della ragazzina senza che nessuno, tanto meno Tristezza stessa, comprendano lo scopo della sua esistenza.
Nel corso del film Tristezza scopre e svela allo spettatore il suo ruolo, risolutivo nel finale: è l’emozione che rivela a Riley che l’infanzia è andata perduta. Questa scoperta è dolorosa e nello stesso tempo fondamentale perché la ragazza possa prepararsi ai cambiamenti che la aspettano e ricongiungersi ai genitori in modo nuovo.
Inside Out racconta con un linguaggio semplice e immediato le conoscenze sulle emozioni maturate in lunghi anni dall’etologia e dalla psicologia.
Le ricerche in questi ambiti hanno identificato nella tristezza questi scopi e vantaggi:
. stimola l’autoaccudimento oppure la richiesta dell’aiuto degli altri;
. quando siamo tristi ci ritiriamo dal coinvolgimento nella vita e ci arrendiamo momentaneamente; questi atteggiamenti sono necessari perché possiamo rinunciare al bisogno di ciò che abbiamo perduto e trovare nuova stabilità dopo la perdita;
. chinandoci su noi stessi sperimentiamo un modo diverso di percepire la realtà e noi stessi. Entriamo in contatto con parti di noi che non conoscevamo e possiamo avere intuizioni artistiche o scientifiche, abbozzi di idee a cui daremo ordine e struttura superata la fase critica;
. la tristezza fa emergere i chiaroscuri dell’esperienza, dà il senso del limite e dei vincoli dell’esistere. Da questi vincoli si sviluppano una serie di possibili percorsi e si definiscono e ridefiniscono i traguardi futuri, che non comportano la soddisfazione immediata di un bisogno ma la differiscono verso conquiste sempre più impegnative e difficili, attivando motivazioni e volontà.
Sapere che la tristezza contiene una quota di positività ci aiuta a legittimarla e accettarla. Un accesso libero e privo di giudizio al dolore consente di viverlo ed esprimerlo e questa è la strada per attraversarlo e superarlo. Infatti, a differenza di quanto ci è stato insegnato (per esempio quando ci è stato detto “Non piangere! Tu sei forte e coraggioso!” oppure “Pensa positivo!”), combattere o evitare la tristezza sono strategie che possono funzionare sul breve periodo, ma che alla lunga comportano ulteriore sofferenza.
Questo non significa che non dobbiamo essere fiduciosi che le cose andranno bene o che non abbiamo le risorse per farcela, ma che possiamo anche concederci di sentirci deboli e vulnerabili, perché fa parte della complessa esperienza di esseri umani.
Fonti:
Rezzonico, R. e De Marco, I. (2012). Lavorare con le emozioni nell’approccio costruttivista. Torino: Bollati Boringhieri